Recensione e Foto a cura di Massimiliano Radicchi (https://www.massimoradicchi.it/)
Quella che si è appena conclusa, ieri 2 gennaio, è stata la 28°edizione di Umbria Jazz Winter e devo dire che nonostante le cancellazioni, i ridimensionamenti e le restrizioni imposte dalla situazione pandemica, la rassegna è riuscita comunque ad ottenere grandi risultati sia dal punto di vista degli ingressi ai concerti (4500 circa) sia per quanto riguarda la risonanza sui social, che la diffusione via radio (con Radio Montecarlo che ha seguito tutti gli eventi principali.)
Il festival infatti ha avuto “un cartellone che per qualità è stato all’altezza della tradizione della manifestazione, con eventi esclusivi ed artisti di assoluto livello”.
il Teatro Mancinelli, il Museo Emilio Greco, la Sala Expo di Palazzo del Popolo e il Palazzo dei Sette hanno ospitato nei 5 giorni della kermesse, artisti straordinari, italiani e stranieri.
Io e la mia macchina fotografica siamo pronti…si inizia.
Si è partiti proprio dal Palazzo dei Sette che ha aperto il festival con un bellissimo concerto di Nick The Nightfly e il suo quintetto.
Nick, da anni “amico “di UJ, ha aperto le danze con la sua grande classe e la sua voce da crooner di altri tempi…tra le note della sua New York New York, i camerieri che passavano, il rumore delle posate e l’odore dei caffè.
Si è passati poi al Teatro Mancinelli, dove era previsto un favoloso doppio stage.
Il primo, un evento inedito. Due pianisti. Due “scuole” lontane nel tempo ma vicinissime nell’anima…George Cables, autentica leggenda del piano Jazz, un maestro assoluto e di fronte a lui, Sullivan Fortner, un astro nascente del “pianismo” jazz american.
Uno dei migliori della sua generazione.
Il risultato è stato davvero un mix strepitoso di sensibilità’ diverse ma affini.
Standards e improvvisazioni…
Musicisti diversi e lontani, diventano una cosa unica. La magia del Jazz.
Il secondo stage è stato un Trio davvero favoloso.
Sarah McKenzie – Romero Lubambo – Jaques Morelenbaum.
Jazz, Samba e tradizione classica fusi con una maestria ed una naturalezza incredibile. Atmosfera sognante…un piacere per occhi e orecchie.
Due “mostri” della musica brasiliana ed un’eccezionale pianista australiana a completare questo splendido trio.
Un concerto bellissimo.
Nei giorni seguenti sono riuscito poi a seguire e fotografare, ancora una volta Sullivan Fortner, stavolta in solo piano (al Museo Emilio Greco) e il risultato è stato ancora una volta superlativo. In quel Museo che a mio avviso ha una dimensione per certi versi sacrale, Sullivan che ha iniziato come organista nei cori gospel, ha dato il meglio di sé.
Il viso è sempre coperto da una mascherina nera (oramai quasi non ci si fa più caso ahimè!), ma gli occhi sbucano di fuori e ne lasciano trapelare la grande sensibilità e dolcezza che si riverbera anche nelle sue note.
Mi sposto poi alla Sala Expo del Palazzo del Popolo dove immancabile, incontro un altro grande “amico” di UJ.
È la volta del grandissimo Alan Harris.
Stavolta Harris ci presenta il suo nuovo album, “Kate’s Soulfood”, che è anche un ritratto dell’America che fu’…della sua Harlem.
Con lui c’è anche un genio dell’armonica,
un virtuoso dello strumento: Gregoire Maret.
Alan è sempre elegante, garbato.
Un maestro del jazz vocalism ma anche un valente chitarrista.
Alan non delude mai. I suoi concerti sono sempre trascinanti e il suo pubblico è sempre così incredibilmente “partecipe”.
Alan Harris, un “classico”. Lunga vita ad Alan!!
Terminato questo concerto, e dopo un bel giro per le vie di Orvieto che come ogni anno fa da cornice all’edizione invernale di Umbria Jazz mi sposto al Palazzo dei Sette.
Stavolta è il momento di artisti italiani.
Prima c’è uno dei miei preferiti (e a mio avviso anche uno dei più’ bravi pianisti italiani in circolazione) Dado Moroni.
Dado cita a piene mani dalla storia del Jazz.
Esegue Monk, Evans, Ellington e tanti altri.
Lo fa in maniera unica perché intervalla il suonato con racconti, aneddoti ed esperienze personali che lo hanno legato a quel musicista piuttosto che all’altro.
Ricorda collaborazioni con grandi musicisti del passato e le “storie” che hanno portato alla nascita di un determinato pezzo.
E poi lo suona. Eccome se lo suona.
Appena finisce Dado Moroni, cambio di set e arrivano
Giovanni Tommaso e sua figlia Jasmine.
Beh…del padre sappiamo tutto.
Uno dei più’ grandi contrabbassisti della storia del jazz italiano (e non solo).
Jasmine, è proprio il caso di dire “figlia d’arte”, ha studiato canto prima in Italia, poi ha continuato negli Stati Uniti tra Boston e la California dove poi si è laureata e dove attualmente vive.
Giovanni Tommaso in quintetto, accompagnato dalla splendida voce di Jasmine, esegue soprattutto standards e brani da lui composti.
Ottanta anni e non sentirli. Una figlia pronta a raccogliere un’eredità davvero pesante.
E poi c’è il jazz dinner…Alla Sala Expo si sono esibiti diversi gruppi e stavolta è il turno di Anthony Paule e la sua orchestra con un ospite d’eccezione: Terrie Odabi.
Terrie è stata definita la più travolgente donna del blues e del soul dai tempi di Etta James.
Anthony Paule dal canto suo. ha costruito un’orchestra Jazz and Soul “vecchia scuola”.
Un sezioni fiati da paura. Piano, batteria e chitarra (suonata dallo stesso Paule) e una voce (quella di Terrie Odabi) da far tremare i polsi.
Il pubblico, ha finito di mangiare…resta solo il dessert, adesso si può ballare!
Certo, in maniera composta (visti i tempi). Una coppia di anziani signori in un angolino…
i bambini per terra e gli altri muovendo le braccia da seduti nei propri tavoli!
Ma il sound è travolgente e di conseguenza, molte delle mie foto mosse!!
A questo punto, un pasto veloce (la splendida porchetta di Orvieto) e si va al Teatro Mancinelli.
Ancora un doppio stage.
Lionel Loueke solo guitar e a seguire Bill Frisell & UJ Orchestra.
Loueke è un chitarrista originario del Benin, cresciuto tra Parigi ed America dove è passato per la Berklee e dove ha conosciuto e collaborato con diversi artisti, in particolare Herbie Hancock che lui ritiene il suo unico e vero mentore.
Il suo ultimo disco è infatti intitolato “HH” (che ovviamente sta per Herbie Hancock) che è un tributo e ringraziamento al suo maestro.
Il concerto, nonostante sia un “solo guitar”, vola via veloce.
Una tecnica incredibile.
Sonorità uniche…la voce che da ritmo e dimensione corale.
Qualcosa in lui mi ricorda Bobby McFerrin…
Davvero bravo…del resto Hancock lo ha definito “a musical painter”.
Un concerto bellissimo che si è poi ripetuto il giorno dopo al Museo Emilio Greco e che io sono andato a riascoltarmi e a fotografare di nuovo.
Lionel Loueke è davvero un uomo/orchestra dal sound unico. Davvero eccezionale.
Nel secondo stage si esibiva uno dei più’ grandi chitarristi Jazz della storia in una produzione esclusiva di Umbria Jazz: Bill Frisell.
Accanto a lui oltre l’orchestra, diretta da Michael Gibbs, un contrabbassista d’eccezione: Thomas Morgan.
Il progetto è ambizioso…gli interpreti eccezionali. Sicuramente una performance più’ “difficile”, non per tutti, per palati raffinati ma comunque di assoluto livello.
Il concerto finisce e arriva la notte… la mezzanotte.
E a mezzanotte circa, tutte le sere ci si sposta al Palazzo dei Sette.
Ad aspettarci George Cables Trio e Piero Odorici. E poi ancora Nick e Dado…
Suonano, scherzano si alternano sul palco.
E si aspetta l’anno nuovo.
10,9,8,7,6,5,4,3,2,1 Auguri!
Speriamo il 2022 sia un anno migliore.
Speriamo si torni a vedere i sorrisi e non le mascherine.
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