Recensione: Vinicio Caposella “Pandemonium” al Gubbio Oltre Festival

Recensione e Foto di : Massimo Radicchi (www.massimoradicchi.it)

Pandemoniumè un concerto narrativo di canzoni messe a nudo, scelte liberamente da un repertorio che quest’anno tocca il traguardo dei trent’anni dalla data di pubblicazione del primo disco “All’una e trentacinque circa”.

Pandemonium da Pan, tutto, e demonio: tutto demonio, in opposizione a pan theos, tutto Dio. Dunque un concertato per tutti i demoni.  Sul palco, insieme a Vinicio Capossela al pianoforte e al “rumorista intraterrestre” Vincenzo Vasi, una serie di strumenti musicali che insieme evocheranno il Pandemonium, mitologico e gigantesco strumento di metallo dal tono grave, che scava negli inferi, in quel sottosuolo che è anche sede della memoria.

Pandemonium è anche il nome della rubrica quotidiana tenuta da Capossela durante la quarantena, una sorta di almanacco del giorno, che indagava le canzoni e le storie che ci stavano dietro mettendole in connessione con le storie di un’attualità apparentemente immobile, ma in continuo cambiamento. Durante la serata ci sono stati dunque anche momenti dedicati all’intimità del colloquio, così come è avvenuto nella distanza: una narrazione che svela le storie e gli scheletri negli armadi delle canzoni.

Il demone a cui mi riferisco in questo Pandemoium è il dáimōn dei greci – scrive l’artista -l’essenza dell’anima imprigionata dal corpo che è il tramite tra umano e divino. Il destino legato all’indole, e quindi al carattere. Pan Daimon, tutti i demoni che fanno la complessità della nostra natura, tutte le stanze di cui è composto il bordello del nostro cuore.

Pan e Daimon, tutti insieme. Il Pandemonium è la somma delle nature nelle loro contraddizioni Nature che generano cacofonia, il pan panico, la confusione del tutto quanto, l’entropia incessante che ci fa continuamente procedere e separare. Tutti i dáimōn, come in un vaso di pandora liberati nell’isolamento e nell’insicurezza che ci ha colti nella pandemia. Nuove e antiche pestilenze. Ma allo stesso tempo il dáimōn è l’angelo, l’entità che fa da ponte col divino. Perché un po’ di divino nell’uomo c’è, pure se impastato col fango e il dáimōn lo rimesta e solleva.(cit. Vinicio Capossela)

Sono le 19:35 di un 4 di agosto.

Nello splendido Teatro Romano di Gubbio, le nuvole minacciose hanno da poco lasciato spazio a raggi di sole che illuminano un piccolo palco. Un organo (che sembra uscito dalle Avventure del Barone di Munchausen), un piano e delle tastiere.

La piccola folla inizia ad entrare e a disporsi nei gradoni …

Dopo mesi, rintanate nelle case,le persone finalmente non vedo l ora di uscire,desiderose di vita…e di musica!

I fotografi (tra cui me) si dispongono cercando la miglior posizione.

Si studia la luce…”i suoi cappelli, gli fanno sempre ombra sul viso..” dice qualcuno.

Siamo pronti.

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All’improvviso, un diavoletto, di rosso vestito, sbuca dal palco.

Accanto a lui un piccolo elfo dai capelli bianchi.

Gli astanti li accolgono con fragorosi applausi e strepiti troppo a lungo soffocati tra le mura domestiche.

Che lo spettacolo abbia inizio.

Parole e suoni.

Un caleidoscopico crogiuolo di stili musicali e intrecci letterari.

Un” matto ” nella città dei matti.

Scivola e va via, una nota dopo l’altra.

 

Credits: Si ringrazia Danilo Nardoni per l’accredito concessaci e tutto lo staff organizzativo di Gubbio Oltre Festival per la gentile accoglienza e la perfetta organizzazione dell’evento

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